Biciclette macchiate di sangue, zoccoli usati come armi mortali, il dolore dei congiunti, plastici che ricostruiscono scene di delitti orribili, sviscerati nei loro dettagli più morbosi all’interno di incipriati salotti televisivi. In questo scenario quotidiano, ubriaco di tanta deliziosa crudeltà, c’è ancora posto per i fumetti “estremi” di Mauro Padovani?
Sulla soglia di questo nuovo millennio, possiamo dire che la violenza, intesa come spettacolo e genere di consumo di massa, è stata definitivamente sdoganata presso il pubblico più vasto. Un uditorio che oggi non conta più solo brufolosi adolescenti affamati di splatter, ma anche la casalinga, l'insegnante, il bancario. E questo non è avvenuto a causa del cinema horror, di videogiochi truculenti, del wrestling. E nemmeno di fumettisti controversi come Miguel Angel Martin, Tim Vigil o – per l'appunto – Mauro Padovani.
I supereroi statunitensi, sopratutto quelli di casa Marvel, hanno scelto di affidare il proprio rilancio ad atmosfere crude e all'ostentazione di un infantile sadismo. I notiziari televisivi hanno rivoluzionato da un pezzo i propri sommari. Gli sviluppi della politica interna sono presentati agli ascoltatori come un interminabile battibecco senza alcun supporto di fatti documentati, annegati in un brodo dove la cronaca nera è ormai l'ingrediente principale (e non certo perché prima i delitti fossero meno frequenti). Si è arrivati al paradosso di definire un assassinio “il delitto clou dell'Estate”, neanche si stesse parlando di una hit musicale. Bruno Vespa ha fatto del sangue e degli orrori urbani un redditizio palcoscenico personale. E la guerra, anzi, le guerre, non hanno mai smesso di tenerci compagnia.
In un contesto così inquietante, quale potrebbe essere, oggi, il ruolo dei racconti sanguinari di Padovani?
Il giovane autore ligure, diplomato alla scuola del fumetto di Chiavari, è già una piccola celebrità nell’underground italiano. Personaggio fuori dagli schemi, che si autoproduce senza piegarsi ad alcun filtro editoriale, condannato dai benpensanti e corteggiato dalle realtà editoriali estere, ha già al suo attivo diverse pubblicazioni. La saga vampiresca “Bullet & Justine”, del quale sta per uscire il secondo capitolo, il west perverso di “White Squaw”, le inquietudini metropolitane di “Snuff Night” e tanti altri. E’ il turno, adesso, di “Tales from the Planet Dominia”, che sarà presentato alla fiera del fumetto di Lucca 2007. Un titolo eloquente per iniziare a navigare nel nero assoluto delle tavole di Padovani. Nere come il sangue che vi scorre a fiumi, sprizzante come fuoco e sperma dalla matita di un artista che ha fatto dei contrasti netti tra luce e ombra il suo urlo personale, reso ancor più lacerante dalla totale assenza di dialoghi.
La violenza, nei fumetti di Padovani, è talmente gratuita da risultare astratta. Il gioco è scoperto, il paradosso evidente. Il lettore è afferrato per la gola e tuffato in un sogno lisergico, dove l’eros non conosce confini di genere e orientamento sessuale. Ma soprattutto dove il desiderio s’identifica quasi esclusivamente con il dolore, la prevaricazione, la morte. Un labirinto di carne dove il sesso è sinonimo di distruzione. La rappresentazione di corpi torniti accanto ad altri laidi e sgraziati è la scelta stilistica definitiva per innalzare le pulsioni carnali oltre ogni logica estetica. Il pennello di Padovani, strappando un velo ipocrita dopo l’altro, mette così a nudo il motore principale di ogni lussuria: la fantasia di potere. E il bisogno di controllo, la meschinità umana e la sua incapacità di amare, sono riassunti in una sarabanda di amplessi che non possono concludersi se non con l’annientamento dei corpi. Rituali di sesso gelido, tanto silenzioso da essere insopportabile. Solo un individuo dal carattere gentile come Mauro Padovani poteva giungere a questa intuizione. I suoi fumetti, per quanto estremi, possono essere considerati come delle moderne fiabe nere. Delle allegorie cupe dell’incomunicabilità, e della deriva dei valori. Lungi dall’essere immorale, l’arte di Padovani ha molti punti in comune con cineasti di culto come David Cronenberg e il primissimo Tobe Hooper. Entrambi, nelle loro opere di esordio, hanno esplorato il corpo umano e la sua decostruzione come metafora di un disfacimento sociale. In modo analogo, la claustrofobia sanguinaria dei fumetti di Padovani è un segnale di disagio che evidenzia, negandola, quella tenerezza di cui tutti oggi avremmo un gran bisogno. Né più né meno di certe fiabe di Perrault, che mettendo in scena lupi e orchi antropofaghi, non fanno che elogiare valori tradizionali, quali l’amore puro e la compassione.
In un paese dove i delitti reali più atroci danno origine a un business mediatico così impudente, i fumetti di Mauro Padovani sono un’oasi di innocente creatività. Uno sgorbio deforme dal grande cuore. Non a caso, Padovani ha scelto di aderire al cartello “Freak Show”, nascente marchio di autori underground che non si riconoscono nelle griglie del mainstream.
“Tales from the Planet Dominia” è considerata da qualcuno come l’opera più “furente” di Mauro Padovani. Io preferisco usare la parola “appassionata”, e auguro a questo particolarissimo autore di conquistare lo spazio che merita, oltre che all’estero, in questa nostra terra, ancora tanto conformista e insincera.
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