martedì, luglio 08, 2008

Nella rete (come un pesce che annaspa)

«Internet è piena di pazzi.»
Betty Suarez – “Ugly Betty” Stagione 2

D’accordo è un luogo comune. Peraltro ottimista. La nave dei folli è molto più grande. Se Internet occupa una buona porzione del ponte di comando, il globo terracqueo la rappresenta a dovere dalla stiva alla cima dei pennoni. E con buona pace di Erasmo da Rotterdam, al novanta per cento si tratta di una follia sgradevole. Volgare. Stupidamente cattiva. Insomma, siamo nella merda. E sia chiaro che non parlo di pedofilia e altre realtà criminali. Ma di ordinarie, sconcertanti manifestazioni di povertà umana.
Ho un rapporto stranissimo con la rete. Forse un pessimo rapporto. Da un lato la uso molto, dall’altro non la comprendo del tutto. In fondo, Internet è l’equivalente di un’enorme piazza dove le regole sono poche e sfuggenti. Un luogo neutro dove, entro pochi limiti, ci si può mettere a nudo e rendere pubblici pensieri che altrimenti resterebbero sommersi.
Un bene? Un male?
Credevo di avere una risposta. Oggi non ne sono tanto sicuro.
Chi mi conosce sa che sono soggetto a frequenti depressioni. Un coming out come questo si incanala nella pazzia generale, certo. Il medico non mi ha prescritto di scrivere una cosa tanto personale su un blog che chiunque potrebbe leggere. Esibizionismo? Bisogno di farsi notare? O valvola di sfogo? Un messaggio nella bottiglia quando altri canali di dialogo risultano intasati da scomodi fattori contingenti. Sgobbare come un mulo solo per accorgersi, qualche giorno più tardi, che il lavoro svolto con cura certosina sta venendo nuovamente eseguito da un impiegato di più alto grado (Mania di controllo? Puro narcisismo?) sarebbe irritante per chiunque. Penso. Soprattutto se il rapporto gerarchico del posto di lavoro ti impedisce di raddrizzare quel che è storto. Quel che resta è un senso di svuotamento e di totale inutilità degli sforzi fatti. Si dubita del proprio ruolo sul territorio, del significato delle proprie giornate. Non del proprio valore, intendiamoci, ma dell’opportunità di essere realmente compresi. Ed è un rospo molto amaro da ingoiare.
Periodicamente affronto momenti nerissimi, spesso di una lunghezza sconfortante. Secondo qualcuno, la cosa più sensata che potrei fare è... spararmi. Smarrita la via, non riuscendo a vedere la luce in fondo al tunnel e sentendomi ormai fallito, perché dovrei aggrapparmi a un presunto pensiero razionale? Non riesco a vivere? Per quale motivo dovrei andare avanti? Sarebbe da stupidi tentare di dissuadermi in nome di una presunta razionalità. Non solo non avete il diritto di giudicarmi. Dovreste approvarmi, in quanto – onestamente – suicidarmi è l’unica cosa da fare.

OK, tranquilli: è solo un espediente retorico. Ma...

Badate bene, non è uno scherzo. C’è chi la pensa davvero così. Fate un giro in rete. Leggete qualche blog. Assaporate l’aroma di queste perle di saggezza nichilista, e decidete se inorridire con me o se declamare (come qualcuno che ricordo con grande disagio) che “E’ troppo ficooo!”
Non mi faccio illusioni. Lo so... Mark Millar docet!
Io la chiamo “Fase del Grillo Parlante”. Di solito è una condizione transitoria dell’adolescenza. Vi è mai capitato di sentir sostenere a un vostro conoscente giovanissimo di essere una persona schietta, che dice pane al pane e vino al vino? Che è avvezzo a dire solo la pura verità, e che la sputa in faccia a tutti con grande franchezza? Di norma, le persone vicine a chi manifesta la suddetta fase, sentono emergere presto la sindrome speculare: la “Fase del Martello”. Sì, perché non è facile far comprendere a un acerbo narciso (per di più rimpinzato con gli attuali feticci mediatici) che c’è una bella differenza tra sincerità e maleducazione, schiettezza e totale mancanza di sensibilità. A volte la “Fase del Grillo” si manifesta pericolosamente anche in soggetti cresciutelli (e lì sta l’orrore) con un ego che fa provincia. La delusione è tanto più grande quando una cazzata simile si erge come la gramigna in un campo dove cresce, florido, il talento. Magari dove ti eri attardato a pascolare, solo perché ti piaceva leggere.
Internet è piena di pazzi... Ma ancor più di infermi cronici della “Fase”. Io stesso, con questo irrinunciabile sfogo sto cedendo all’ossessivo richiamo di quello che, una volta superata la trentina, assomiglia a un temibile disturbo istrionico (non troppo dissimile da chi deve rifare daccapo il lavoro che qualcun altro ha appena svolto). Esiste tuttavia il senso della misura, e dovremmo tutti imparare a sfruttarlo meglio. Non stiamo parlando di censura, ognuno scrive quel che ritiene di dover dire. Non mi spingo ad affermare che certe sparate (come minimo immature) non dovrebbero essere divulgate o che anche la rete (forse) avrebbe bisogno dell’intervento di quei filtri editoriali professionali e illuminati in cui qualcuno sembra avere tanta fede. Quante probabilità avremmo di leggere un altro “Tre metri sopra il cielo”, se no?
Magari dovremmo chiederci se la grande rete non è sopravvalutata. Se il suo valore oggettivo non consista nelle più semplici forme di comunicazione veloce. Per il resto è simile a un terreno minato sul quale è consigliabile muoversi con circospezione. Blog, Forum, Chat... Tutti strumenti bellissimi se messi al servizio della creatività. Ma anche canali ambigui, che fornendo un parziale anonimato a chi scrive (è sufficiente l’assenza di confronto diretto) tende a far crollare i freni inibitori e a fare emergere spesso i peggiori fumi individuali. Compromettendo la comunicazione piuttosto che facilitandola. Ho cominciato a riflettere su questo. Del resto, non esistono editor dei contenuti dei blog, almeno non ancora. E poi, chi sarebbe legittimato a svolgere questo ingrato compito? A chi toccherebbe l’onere di stabilire quando stai dicendo una stronzata? E' il prezzo dell’anarchia. La ricerca del bello e del giusto è affidata all’intelligenza dei singoli. Ma non è così un po’ per tutto?
E allora, se navigando nella grande rete, leggendo, fruendo, mi capita di sentirmi ferire dal puerile cinismo in cui mi imbatto... Se devo sorprendermi a rabbrividire... non davanti alla pornografia, non davanti al kitsch o alla futilità... ma perché sento la mia fede nell’umanità ridursi di un’altra tacca... perché non dovrei ricorrere anch’io al suono della corda pazza? E’ a questo che serve un blog, no? Posso solo sperare che chi la pensa come me non sia stato del tutto soppiantato dalla “Millar Generation”. E tentare – chissà – di mitigare con le mie povere parole di quarantacinquenne senza futuro, il mal di mare che forse anche altri naviganti soffrono quando l’oceano informatico vomita la sua insensatezza.


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