giovedì, luglio 23, 2009

Primeval: non c'è futuro senza il passato

Da tempo lo ripetiamo come una litania. Ormai si è praticamente detto tutto. Fantascienza, fantasy, horror. Questi generi confinanti, spesso confusi tra loro, sembrano aver dato fondo all’intero patrimonio dell’immaginario. Cinema e letteratura, non ultimi televisione e fumetto, hanno bombardato il pubblico fino a spaccargli i timpani, provocargli la cataratta e rimbambirlo a forza di remake e prodotti derivativi di scarso spessore. Chissà, forse siamo davvero alla frutta. Forse le colonne d’Ercole sono state raggiunte ed è prossima una caduta senza fine. O dovremmo aspettarci, anzi, auspicare un ritorno ai primordi?

Molto prima delle invenzioni tecnologiche più complesse, l’intelligenza umana era giunta ad affermare che la forma conta più della materia. Ragion per cui a mettere le ali a un racconto non sono tanto gli eventi descritti, quanto l’efficacia dello stile, la capacità di affascinare l’uditorio e la verità che si sa infondere ai propri personaggi. La televisione britannica non è certo l’ultima arrivata per quanto riguarda i titoli seriali di genere fantastico. Negli ultimi anni ha dimostrato di possedere una freschezza e una capacità di affabulazione sempre più rare nelle produzioni statunitensi. Si ricordi il riesumato Doctor Who, il suo spin off Torchwood, la miniserie Jekyll. Cicli brevi, sottotrame che si sviluppano e concludono nel corso di una stagione, protagonisti simpatici e divertimento a fiumi. Fatichiamo a capirlo in Italia, dove certi titoli possiamo vederli solo sul satellite, e dove la Rai, schiava dell’ordalia chiamata audience, sperimenta programmazioni da manicomio. Questi meccanismi hanno travolto anche Primeval, bella serie anglosassone acquistata dalla nostra tv di stato e presentata con una cadenza psicotica. I primi tre episodi trasmessi da Rai Due in una sola serata non hanno convinto il vasto pubblico, e le seguenti puntate hanno sofferto della sindrome del tappabuchi, relegate a orari impossibili e ballerini. Un vero peccato, perché nonostante l’apparenza di prodotto dozzinale, Primeval è un serial affascinante che merita una visione più attenta.

In fondo è facile sottovalutare una serie televisiva in cui, senza spiegazione alcuna, iniziano ad aprirsi varchi temporali da cui emergono pericolosissime creature preistoriche. Pensare a Stargate è inevitabile, così come pesanti sono i confronti con i vari Jurassic Park, e per certi aspetti anche con Torchwood. Ma gli autori Adrian Hodges e Tim Haines si rivelano due vecchie volpi, e dopo avere messo in mano allo spettatore l’invito per un pranzo dove ogni portata è nota, lo sorprendono con la forza di un racconto dal ritmo impeccabile, che alterna misteri a colpi di scena scioccanti, riuscendo a tenere alto il livello dell’attenzione per tutta la durata dello spettacolo. Primeval si beve come una bibita fresca in un’estate torrida. All’inizio si sorseggia con distrazione, assaporandone senza impegno il gusto leggero. Ma presto si è sedotti da un sapore più profondo che spinge a vuotare il bicchiere d’un fiato e a pretenderne subito un altro.

La trama di Primeval si sviluppa in modo lineare lungo un canovaccio visto mille volte in un’interminabile serie di monster movie. Tutto sembra essere iniziato otto anni prima, quando la dottoressa Helen Cutter, ambiziosa e geniale paleontologa, è scomparsa nella foresta di Dean senza lasciare traccia. E’ a suo marito Nick Cutter, zoologo presso la stessa università, che i servizi segreti si rivolgono quando spaventose creature che non dovrebbero più esistere iniziano a seminare il terrore nei dintorni di Londra. Le creature provengono da misteriosi passaggi luminescenti che ben presto vengono chiamati “anomalie”. Vere e proprie porte nel tempo che sembrano collegare l’epoca attuale con varie ere preistoriche. Non è dato sapere il perché di un fenomeno tanto bizzarro, ma Nick scopre presto che sua moglie Helen potrebbe essere scomparsa proprio viaggiando attraverso uno di questi portali. Le cose si complicano quando, durante una sortita nel passato, il dottor Cutter e i suoi colleghi trovano i resti di una spedizione moderna che li ha preceduti. E tra gli oggetti una macchina fotografica che contiene una foto di Helen, viva e sorridente.

Alla classica avventura sui mostri preistorici si aggiunge quindi un mistery romantico, in cui il personaggio di Helen Cutter muterà ruolo più volte. Da perduto amore a fantasma tornato dal passato. Presenza ambigua tra sogno e realtà, depositaria di una verità ancora tutta da scoprire. In seguito avversario imprevedibile e sensuale, che somma le caratteristiche dello scienziato senza scrupoli al fascino di una dark lady pronta a tutto. L’attrice Juliet Aubrey è magistrale nel ruolo e delinea, di episodio in episodio, la figura di un villain insolito del quale ci si potrebbe innamorare. Il discorso vale anche per gli altri personaggi, caratterizzati in modo efficace pur partendo da spunti dichiaratamente attinti al fumetto popolare. Nick Cutter, l’eroe della serie, interpretato dall’attore Douglas Henshall, è un uomo ferito, afflitto prima dalla scomparsa della moglie, poi dagli enigmi sorti dal suo improvviso ritorno. Di lui piace l’amore incondizionato per il suo lavoro, e il senso di meraviglia quasi infantile per i fenomeni che studia, pur di fronte al pericolo più mortale. Una passione che davanti a un predatore venuto dal passato, da lui conosciuto fino a quel momento soltanto come fossile, gli fa esclamare con occhi sognanti: “E’ bellissimo!”.
Riuscito e simpatico il personaggio di Connor Temple, lo studente dalle conoscenze enciclopediche, prezioso aiuto nonostante l’apparenza di nerd insopportabile. Splendida la giovane zoologa Abby, una sorta di Cameron Diaz anglosassone di rara vivacità, capace di stabilire un’insolita empatia con gli animali. Credibile l’odioso Lester, gelido burocrate e referente istituzionale del team. Stephen, l’ex studente di Cutter, oggi sua guardia del corpo e custode di uno scomodo segreto. E infine Claudia Brown, intermediario del Ministero degli Interni, dolce e decisa, che farà vivere a Nick una nuova storia d’amore prima di diventare protagonista di uno sviluppo inatteso quanto sconvolgente.

Sullo sfondo delle relazioni, dei segreti tra i membri della squadra, e dei molti misteri legati alla scomparsa di Helen, seguiamo le apparizioni ai giorni nostri di molte specie estinte da secoli. E non tutte propriamente amichevoli. Gli effetti speciali sono opera della compagnia inglese Framestore CFC, e basati sull’estro del coautore Tim Haines, già noto per la serie di documentari intitolati Walking with, visti in Italia all’interno della trasmissione contenitore La Macchina del Tempo. Se all’inizio della serie le animazioni in computer grafica sembrano appena sufficienti, queste carburano negli episodi successivi e raggiungono livelli apprezzabili. I velociraptor sono veramente belli e terribili, e tra l’altro sfoggiano un look abbastanza diverso da quello reso popolare da Jurassic Park.
Tra tirannosauri, vermi giganti, mammuth e tigri dai denti a sciabola, il tema centrale di Primeval rimane comunque quello del viaggio nel tempo. Dei paradossi che da questo possono scaturire, degli effetti imprevedibili e devastanti che la manipolazione del passato può scatenare sul presente che conosciamo. Ecco quindi affiorare, nel cocktail servito da Hodges e Haines, persino una traccia del popolarissimo ed enigmatico Lost. Un retrogusto che regala uno dei finali di stagione più avvincenti degli ultimi anni e che fa desiderare di vedere subito la serie successiva.
Di Primeval esistono tre stagioni, due delle quali già trasmesse sul satellite e attualmente massacrate dalla programmazione Rai. La terza, ancora inedita in Italia, sembra per il momento destinata a essere l’ultima, ma gli autori sembrano decisi a cercare nuovi produttori pur di continuare a raccontare le loro storie tra passato, futuro e quanto ci sta in mezzo. Possiamo solo augurarci che ci riescano, e di poter vedere presto in italiano la terza stagione di questo interessante serial. Primeval dimostra che a rendere divertente un’avventura è il modo in cui la si racconta, non i fatti più o meni visti che porta in scena. Gli inglesi, nell’ambito della science fiction e del fantastico in generale sembrano essere un passo avanti a tutti. Forse perché sanno quando smettere di prendersi sul serio e affidarsi al loro caratteristico humor. Forse perché conoscono pregi e limiti della fantasia umana, e sanno che il vino migliore è quello più vecchio. Tutto sta a servirlo al momento giusto, fresco e nel bicchiere adatto. Le condizioni ideali per assaporarlo in pace, sospirare e dire: E’ buonissimo.
La fantasia, l’avventura e la meraviglia sono qualcosa di primordiale. Proprio come le creature belle e spaventose di Primeval. E soltanto guardando al passato si può sperare di costruire il futuro e conquistare qualcosa di veramente nuovo.

Questa recensione è stata pubblicata anche su Fantasymagazine.



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