mercoledì, dicembre 14, 2005

ULTIMATE HULK: STEREOTIPI DEL NUOVO MILLENNIO


Il tempo passa, e ce ne accorgiamo da innumerevoli cambiamenti intorno a noi. Ma se la tecnologia avanza a un ritmo sempre più sostenuto, i mutamenti del costume e della morale tendono a procedere a passo di lumaca, imbrigliati da atteggiamenti conservatori più resistenti di qualcunque scoglio scientifico. Spesso assistitiamo a vere e proprie restaurazioni di forme di costume vetusto. Altrettanto di frequente, nell'ambito della moda e del consumo, incontriamo figure ingannevoli che ci si presentano come moderne e smaliziate, ma che in realtà non sono che l'ennesima affermazione di uno status quo rigido e tutt'altro che progressista.

Applichiamo questo ragionamento a uno dei fenomeni fumettistici americani di maggiore successo negli ultimi anni: la linea etichettata come "Ultimate" della Marvel, casa madre di personaggi popolari come l'Uomo Ragno e i Fantastici Quattro.

La linea "Ultimate" ha esordito un paio di anni fa con delle premesse intriganti. Il progetto era rinarrare dall'inizio le vicende dei personaggi più popolari della fucina Marvel dando la possibilità ai lettori dell'ultima ora di potersi accostare ai supereroi senza l'obbligo di conoscere decenni di intricate trame in stile soap-opera. A questa premessa se ne aggiungeva un'altra irrinunciabile. Il tono generale delle avventure degli X-Men, di Spider-Man, dei Vendicatori, sarebbe stato moderno, ambientato ai giorni nostri, nell'era di Internet, della competizione spietata e del disincanto. La logica, più o meno, è quella dei remake di film d'epoca, spesso ripensate dai giovani registi in una chiave aggiornata alle atmosfere odierne.

In principio era legittimo pensare (e sperare) che un ulteriore intento dell'operazione fosse quello di raccontare trame supereroistiche una volta per tutte svecchiate e libere da cliché ormai polverosi. Avventure dai toni maturi, più intensi e introspettivi. Un po' come la divisione “Vertigo” della DC Comics (grande concorrente della Marvel) aveva fatto negli anni novanta, proponendo serie artisticamente valide quali "Sandman" di Neil Gaiman.

A distanza di un paio d'anni, posso dire che le mie aspettattive di lettore sono andate deluse. Certo, non si discute sul successo commerciale dell’operazione. Né si può affermare che la linea "Ultimate" non sia riuscita a fare breccia nel cuore dei giovanissimi del XXI secolo. Ma in che termini, e a quali livelli?

Leggendo "Ultimates", serie che rilegge la genesi e le gesta del gruppo di eroi chiamati Vendicatori, abbiamo l'esempio più evidente della chiave revisionista adottata dalla Marvel per fare di questa testata quella attualmente più venduta tra i giovani sotto la trentina.

Se i lettori di fumetti della mia generazione sono cresciuti all'ombra di eroi positivi come l'Uomo Ragno, simboli della solidarietà tra diversi come gli X-Men, per i giovani fumettomani di oggi le cose hanno preso ben altra piega. Proprio in "Ultimates" assistiamo a una decostruzione del ruolo ruolo dei "buoni" (ma l'idea era già stata tenuta a battesimo dallo sceneggiatore Warren Ellis nella serie "Authority") a favore di un cast di personaggi dove prevale il narcisismo, la nevrosi, la corruzione, il fascismo, la brama di sesso e di potere. Se all'inizio questa descrizione di eroi un tempo immacolati risulta piacevolmente trasgressiva, con il procedere della serie ci si accorge che il cambiamento è soltanto esteriore. Le storie non sono affatto narrate con toni più maturi, non affrontano tematiche innovative. Al contrario, sono più che mai caotiche, superficiali e pensate in funzione dei crossover (espediente commerciale che obbliga il lettore ad acquistare più testate per poter leggere una storia per intero). Niente di realmente moderno, quindi, ma solo una passerella di quanto secondo l'attuale trend è ritenuto “cool”. Sceneggiatori e illustratori, coadiuvati certamente dagli esperti di marketing della Marvel, hanno fatto senz’altro un lavoro egregio nel setacciare i valori e le aspettative di un parco lettori sempre meno idealista e sempre più vulnerabile al condizionamento di mode e status symbol. Il risultato è l’univero Marvel Ultimate, un mondo militarista, dove più che eroismo e avventura fanno regola la spocchia e la trasgressione d’accatto.

Se da un lato mi è capitato di inorridire sentendo un ventenne dire che il personaggio dell'Uomo Ragno è démodé, in quanto è un perdente pipparolo, assillato dai sensi di colpa e dai problemi quotidiani (e quindi vergognosamente “non cool”, rispetto alla schiera di nuove caratterizzazioni all'insegna del cinismo), mi irrita parecchio la nuova versione che è stata data, proprio all'interno della seria "Ultimates" di un altro mito della mia giovinezza: l'incredibile Hulk.

Ed è proprio parlando di Ultimate Hulk che possiamo scoprire come il media del fumetto popolare stia facendo enormi passi indietro con la mendace pretesa di lanciarsi nel nuovo millennio.
L'Hulk classico è un anti-eroe ambiguo e affascinante. Imparentato in parte con Frankenstein (mostro e scienziato in una sola persona) e parte con Jekill/Hyde, è un personaggio simbolo dell'ES, cioè delle pulsioni primare che non si lasciano controllare da nessuna inibizione morale e sono pronte a scatenarsi non appena viene meno la luce della razionalità. E' un moderno Frankenstein perché ci mostra uno scienziato abile nella creazione di bombe trasformato egli stesso in un'arma di distruzione di massa. Un personaggio in cui la distinzione tra creatore e creazione viene meno, strappando la maschera alla bellicosa società statunitense e rivelandone l'autentico volto barbaro e vanaglorioso.Tuttavia, Hulk è anche simbolo del cuore selvaggio dell'essere umano, indomabile e passionale, che vaga alla ricerca di una serenità utopistica, di frequente indentificata con l'amore e l'amicizia. L'Hulk classico, quindi, è un personaggio tutto sommato romantico.

Ultimate Hulk, dopo l’irrinunciabile lifting supercool cui è stato sottoposto, conserva ben poco di tutto questo. E' un mostro grigiastro senza alcun guizzo eroico. E' maligno, cannibale, e distrugge tutto quello che si muove senza mai mostrare il benché minimo moto sentimentale. Se da un lato, può essere logico mostrare le vittime innocenti che il passaggio di Hulk semina per le strade di affollate metropoli (l'Hulk classico faceva un gran fracasso, ma riusciva a non uccidere nessuno), lascia perlomeno perplessi l'ulteriore caratterizzazione di questo mostro del nuovo millennio.

Ultimate Hulk, abbiamo detto, è cannibale. Sì, mangia la gente. Ma non è questo a irrritarmi. E' un maschione eternamente eccitato che saltella accartocciando automobili e urlando volgarità che di solito si ascoltano dalle boccucce di ragazzotti di scuola media in piena tempesta ormonale. Lo vediamo scalare grattacieli mentre si rivolge all'amata Betty Ross dicendo: «Banner non è abbastanza uomo per te... E' ora che provi Hulk». E ancora: «Hulk è talmente arrapato che...» e via su questo registro.

In parole povere, il mito di Hulk, metafora fumettistica intrigante e in fin dei conti rispettabile, è stata trasformata, per i lettori del nuovo secolo, in un'irritante e pecoreccia macchietta degna di una pellicola con De Sica e Boldi. Anzi, nella sublimazione del machismo più ottuso, e questo sempre in nome della modernità. Abbiamo assistito anche a come Hulk viene utilizzato come arma dalla forza militare statunitense guidata da Capitan America, che per indurlo ad attaccare gli alieni invasori gli grida da un elicottero con tanto di altoparlante: «Sai cos’hanno detto di te? Ti hanno dato del frocetto, amico!». La reazione di Ultimate Hulk è immediata. Si lancia all’inseguimento del nemico urlando: «Hulk ama donne!»

Personalmente trovo questa caratterizzazione sciocca e volgarissima. La riproposta di un cliché maschilista vecchio di secoli che giunge a sostituire il mito della collera pura e primordiale in nome di una presunta estetica trasgressiva. Sì, a suo modo anche Ultimate Hulk è un’icona del nuovo millennio. Ma non si porta dentro le ansie psicanalitiche (e in parte politiche) del suo illustre predecessore. E’ bensì la cristallizzazione di uno stereotipo esistente da sempre, che incontriamo tutti i giorni relazionandoci con amici, conoscenti e passanti. Un cliché che forse non ha ancora un nome ben preciso. Ma forse è giunto il momento di darglielo.

Tra i cliché che riguardano il mondo omosessuale tutti hanno ben presente la figura della “checca”. Questo termine (e i suoi corrispettivi in altre lingue) indica non tanto un individuo quanto un atteggiamento che individui di una determinata categoria possono assumere. E’ un’espressione negativa anche all’interno del mondo gay, un termine che fa pensare a un uomo che col suo gestire disegna una caricatura esasperata di atteggiamenti femminili, e che esterna le proprie attitudini sessuali in maniera quasi feticista.

Lo scrittore Gore Vidal nel suo (straordinario) romanzo-scandalo “In diretta dal Golgota”, dà una definizione della “checca” alquanto concisa e spietata. Vidal scrive: «Checca è un omosessuale che si comporta come se fosse un buco che desidera soltanto essere tappato».
Una definizione che non necessita di ulteriori approfondimenti.
Solo che allo Yin corrisponde lo Yang. Al buio la luce, al freddo il caldo. Ogni estremo ha un suo opposto, che si manifesta in una macchietta altrettanto svenevole e ridicola. Come definire, allora, chi esibisce atteggiamenti machisti ossessivi e sente il bisogno di evidenziare costantemente le proprie attitudini eterosessuali così come un pavone esibisce la coda a ruota?
Le giornate di noi tutti sono piene di conoscenti maschi che vedendo passare la strafiga di turno ci sussurranno: «Quel culo mi ha appena parlato». O che davanti a un cartone animato di “Stripperella”, vedendo la protagonista con le sembianze di Pamela Anderson fare il bagno in un’enorme coppa di champagne non possono fare a meno di dirci: «E la chiami spogliarellista? Quella è una benefattrice!»
Ed è solo il minimo dell’alluvione di battute, allusioni, ammiccamenti, barzellette e volgarità assortita cui siamo stati condizionati a non fare più troppo caso.

Ma è pur vero che se esistono le checche, a far loro da contraltare troviamo quello che potremmo chiamare... testoscazzone. Di testoscazzoni ne incontriamo a ogni piè sospinto, sul lavoro, in ascensore, al cinema, al supermercato. Osservandoli non ci vuole molto a concludere che se la checca è il personaggio descritto da Vidal, il testoscazzone è: “un eterosessuale che passa la vita a dimostrare di essere MASCHIO, rinunciando a essere UOMO”. E se le checche scheccheggiano, potremmo dire che i testoscazzoni d’assalto... testoscazzano. Alle volte deliziandoci con perle di saggezza del tipo: «In tempo di carestia, ogni buchetto è galleria».
Una battuta che starebbe benissimo in bocca ad Ultimate Hulk, eroe e modello dei testoscazzoni del nuovo millennio, che una volta in azione, testoscazza a tutto spiano, con buona pace del mostrone irascibile e un po’ infantile che ricordiamo con affetto.

Sono consapevole che questa riflessione mi attirerà un sacco di critiche da parte dei giovani lettori, in particolare quelli che apprezzano la serie “Ultimates”. Beh, ragazzi, non posso farci niente. Come diceva Eduardo De Filippo in “Natale in casa Cupiello”: «Nun me piace o presepio!»
Soprattutto se pretende di dirmi che, nel nuovo secolo, gli eroi sono più belli, più forti, più… cool! E che ancora oggi salveranno il mondo dagli alieni. Schiantandoli di botte perché hanno dato loro del “frocio” e vincendo come sempre in passato. Ma perdendo quasi del tutto la loro (e la nostra) umanità, sacrificata sull’altrare dei più insulsi meccanismi commerciali, in sintonia con la scarsa sensibilità di questo nuovo, cupo secolo.

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