
Di sicuro, la calamità degli zombi (principale minaccia alla vita dei coloni) potrebbe sconvolgere la storia che conosciamo e i tradizionali rapporti tra indiani e visi pallidi. Ma siamo solo all'inizio. Pat Garrett ha ucciso Billy the Kid. E fin qui tutto uguale. Solo che il Kid, adesso, è tornato. E non è (ma non sappiamo perché) uno zombi come tutti gli altri. E' vispo, intelligente, furbo, agile. E non ha nessuna intenzione di farsi ammazzare di nuovo. Ad ogni modo, gli interessi che l'hanno voluto morto una prima volta sono ancora in ballo. E Garrett (un tempo suo amico, divenuto poi sua nemesi) è nuovamente chiamato a completare il lavoro.
Lo spunto è molto divertente, soprattutto nella caratterizzazione sporca e disincantata del personaggio che dà il nome alla serie. Un po' meno riuscita, finora, la presentazione del Kid (più simile a un fascinoso vampiro che a uno zombi vero e proprio). E' probabile che i prossimi episodi ci riservino qualche spiegazione in più sulla natura di Billy come zombi sapiente in grado di guidare orde di morti senza cervello. Il personaggio, infatti, risulta il più contradditorio e meno riuscito di questo primo capitolo. Forse la sua entrata in scena risulta un po' affrettata e troppo ammiccante ai canoni del western classico. Magari il racconto avrebbe potuto acquistare mistero introducendolo in modo più subdolo. Il rapporto del Kid con la moglie viva che continua ad amarlo (anche fisicamente) da morto sarà di certo approfondito nelle puntate successive. Il punto nevralgico sta nel non aver potuto fare a meno di conferire ad alcuni zombi il dono della favella. Se ne "La Terra dei Morti Viventi", ultima fatica di George Romero, abbiamo visto che gli zombi possono imparare, organizzarsi e addirittura seguire una strategia d'attacco sotto la guida di un leader astuto, l'uso della parola ottiene un effetto spiacevole su questi personaggi. Scavalca il limite e li rende fin troppo umani. Se la scintilla dell'intelligenza accesa dal grande Romero nei suoi cari morti rende sempre più palese la metafora sui derelitti affamati di giustizia, il dono della parola li rende meno morti, meno alieni e di conseguenza meno inquietanti.
Non a caso, il momento più debole di questo primo numero di "Garrett" è proprio il dialogo tra il Kid e il suo luogotenente, entrambi zombi "svegli" dalla lingua sciolta. Qui la schiuma trasgressiva che mixa in modo gustoso horror e western finisce con lo stagnare, e ci rimanda ad atmosfere più scontate. E' difficile notare la differenza tra i due banditi non morti e un qualunque altro fuorilegge del pulp più tradizionale. Qualcosa di simile accadeva anche in "Undead", il fumetto statunitense di Brian Pulido, dove zombi-manager in doppiopetto snocciolavano massime machiavelliche ai danni di un'umanità del dopobomba ridotta allo status sociale di puro alimento.
Il racconto di Recchioni è comunque alle prime battute, e l'indiscutibile fascino dei dialoghi, così come l'inserimento di alcune intriganti sottotrame, lascia ampi margini di miglioramento. Peccato che il racconto "Parla alle ombre", firmato da Matteo Casali, sia stato fatto esordire con un primo segmento tanto breve (sei pagine). Credo che anche altri lettori avrebbero gradito qualche tavola in più al posto del lungo (e già letto) articolo sugli zombi nel cinema e dintorni.
"Garrett" è dunque un fumetto da tenere d'occhio. Forse, non resterà negli annali delle invenzioni più inedite, ma promette molto, molto divertimento.
E scusate se è poco.
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