sabato, dicembre 23, 2006

IL CASO WELBY: VIVA LA CARITA' CRISTIANA!

Il calvario di Piergiorgio Welby si è misericordiosamente concluso.
Sottolineo la scelta della parola misericordia, senza volere in questa sede speculare sui vari “perché”, i vari “chi” o “come" delle modalità con cui la sua tragedia (identificata ormai con un’insopportabile non vita più che con la sua terribile malattia) ha avuto termine. Una misericordia che tra gli uomini è sempre più rara, soprattutto da parte di quanti se ne riempiono quotidianamente la bocca, in un’eterno balletto di ipocrisia e mediocrità morale.

Dunque, la Chiesa ha negato a Welby i funerali religiosi. Non credo, viste le circostanze, che la cosa importasse più di tanto all’interessato o ai suoi familiari. Non interessa neanche all’istituzione cattolica, più motivata con questa scelta a ribadire il suo rifiuto nei confronti dell’etuanasia (ma anche di una ragionevole compassione) che a dialogare effettivamente con qualcuno. No, nessun dialogo. Solo una fede granitica e – ahimé – sempre meno fondata sull’umanità e la volontà di comprendere.

Nessun rito religioso per Welby, dunque. No, mi correggo. Nessun orpello cattolico. E’ molto diverso, dal momento che credere nell’esistenza di un dio, o nei valori fondamentali di pietà e carità, non è prerogativa dei soli cattolici come un tempo non lo era dei soli scribi e farisei. E chiunque abbia letto, anche solo una volta nella vita, il Vangelo, è chiamato a ricordare le parole infuocate di Cristo e a considerare che quegli accenti, ancora oggi, possono avere l’effetto di una colpo di cannone. Anche contro quanti, oggi, fanno un uso irresponsabile e spesso offensivo del concetto di misericordia.

Mi rammento di una lettera indirizzata al quotidiano La Repubblica, a proposito della visita di Giovanni Paolo II in Cile nel 1987. Quando il pontefice si affacciò sorridendo dal balcone del palazzo presidenziale in compagnia del generale golpista e assassino Pinochet, dichiarando poco dopo che “In Polonia (essendoci un governo comunista) si stava peggio”. Purtroppo non ho avuto la lucidità di conservare quel ritaglio di giornale, ma ricordo molto bene il tono della lettera. Il suo autore, diceva pressappoco così: «Il mio matrimonio è finito, e mi sto preparando a divorziare da mia moglie. Un sacerdote mi ha detto che è un peccato gravissimo. Che il matrimonio è un sacramento indissolubile, che andrò all’inferno, eccetera. Bene. Dopo aver visto il Papa insieme a Pinochet ho finalmente capito che cosa devo fare. Non divorzierò da mia moglie. La ucciderò, risparmiando un sacco di tempo e denaro. E forse non sarà nemmeno necessario nascondere la cosa. Magari il pontefice verrà a trovarmi nella mia casa, e insieme ci affacceremo dal balcone per salutare le masse in onore della misericordia e della libertà.»

Piergiorgio Weby non c’è più. Non avrà funerali cattolici. E forse è meglio. Perché a questo punto sarebbe stato un insulto alla sua memoria. Chi crede, conserva comunque il diritto di ringraziare in cuor suo il dio misericordioso, quello vero, quello caritatevole, per aver messo fine al suo strazio al di là della montagna di burocrazia morale che è sempre stata e sarà sempre tra i principali nemici dell’umanità.

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