Un patto col diavolo sottoscritto con l'unico, altruistico intento di salvare la vita al padre (putativo nel fumetto, naturale nel film) malato terminale di cancro, trasforma un giovane motociclista acrobatico in un cavaliere demoniaco al servizio del maligno. Tuttavia, esiste una giustizia superiore che ha altri progetti per questo moderno Faust su due ruote, e i successivi episodi del fumetto "Ghost Rider" esplorano proprio questi sviluppi. Un potere rubato al Male che finisce col servire il Bene. I presupposti da cui parte il film, da poco uscito nelle sale, sarebbero i medesimi. Però...
La scorpacciata supereroistica al cinema continua senza tregua. Inesorabili come pirati all’arrembaggio, gli schermi ci stanno proponendo, pellicola dopo pellicola, la loro versione delle icone più note della premiata casa Marvel. Le nuove tecnologie permettono ormai di realizzare tutto, non importa quanto possa essere inverosimile. E allora, sembra dirsi Hollywood, perché non farlo? Dopo aver visto questo atteso “Ghost Rider”, una risposta siamo tentati di azzardarla. Perché se l’impegno di sceneggiatore e regista deve collassare in modo così disastroso al cospetto di effetti speciali di ultima generazione, la sensazione che resta dopo la visione di un film come questo, è solo di grande, imperdonabile spreco di tempo e risorse.
Mark Steven Johnson si era già cimentato, qualche anno fa, nel compito di tradurre in immagini cinematografiche un altro personaggio Marvel di più alto profilo: Daredevil, con un risultato decisamente deludente. Ma se nella pellicola dedicata al Diavolo Rosso l’irritazione scaturiva dalla scarsa fedeltà al personaggio di carta, dallo snaturamento dell’affascinante Elektra e dalla prevedibilità di molte soluzioni narrative, c’era ancora il Bullseye di Colin Farrell a dare al film una ragione per essere visto, e qualche sequenza visivamente interessante se non proprio riuscitissima. In Ghost Rider c’è solo la noia. Nonostante le corse in moto, il ritmo è floscio, zoppicante, e la voglia di commedia della sceneggiatura produce nello spettatore esiti a dir poco imbarazzanti. La presenza dell’inflazionato Nicolas Cage sembra essere più che altro il suggello al clamoroso fallimento del progetto. Infatti, negli ultimi tempi, l’attore sembra non azzeccarne una. Dopo il brutto remake del britannico “Wicker Man” (distribuito in Italia con lo spoileroso titolo “Il Prescelto”) con “Ghost Rider” la recitazione di Cage si fa sempre più manierata. Erano anni che l’attore, nipote di Francis Ford Coppola (il cui nome d’arte è dovuto a un altro personaggio Marvel: Luke Cage), era in lizza per interpretare un eroe dei fumetti. Nel decennio trascorso si era parlato di far indossare a Nicolas il costume di Devil, poi addirittura di Superman. Tutti progetti cancellati o trasformati col passare del tempo in qualcosa di diverso. Alla fine il successo ha arriso a Nicolas Cage, che con “Ghost Rider” ha finalmente realizzato il suo sogno: incarnare (e nel caso di Ghost, l’ironia è d’obbligo) un eroe in tuta. Il guaio è che sembra divertirsi solo lui. Il tentativo di rendere Johnny Blaze, il Ghost storico, un personaggio ironico e impacciato, serve solo ad abbassare il target del film. Il racconto a base di diavoli e stregonerie ci ricorda vagamente il clima della serie TV “Streghe”, ma senza l’elemento piacevolmente avventuroso che caratterizzava almeno le prime stagioni di quel serial.
Peter Fonda, pateticamente elegante come Mefisto, avrebbe fatto la sua figura se solo il copione gli avesse fornito un incentivo in più. Ma l’eroina Roxanne, l’attrice Eva Mendes, recita con l’espressività di un quarto di bue che dondola appeso al gancio della macelleria. In tutto questo, gli effetti speciali risultano freddi, poco coinvolgenti e fondamentalmente inutili, giacché non sono supportati da nessun climax narrativo. Nicolas Cage che, dopo la sua prima trasformazione, fa le boccacce davanti allo specchio per farsi un’idea di come appare nel suo look scheletrico è una vera perla trash. Così come deludente e manierato risulta la rappresentazione dello Sguardo della Penitenza, il potere che permette allo Spirito della Vendetta di far sperimentare ai malvagi il dolore che hanno inferto alle loro vittime. Per rendere qualcosa di così emotivamente forte ci sarebbe voluta una fantasia allucinata degna di Ken Russell. Invece, il solito gorgo luminoso in cui appaiono anonime faccine che urlano è il massimo che ci si può aspettare da questo tiepido brodino marvelliano.
Da qualche parte è stato scritto che “Ghost Rider” è omologabile ad aborti cinematografici quali “Catwoman” e “Elektra”. Un giudizio impietoso che va sottoscritto. Hollywood, o una parte di essa, non si è ancora fatta una ragione che noi lettori di fumetti non ci accontentiamo di vedere andare su e giù sullo schermo i nostri eroi in costume, per quanto patinati. Amiamo le idee dietro le immagini, il racconto di suspence, le emozioni a tutto tondo. E questo, quelle, sia pure filtrato dalle regole del cinema, ha bisogno di interagire col cervello prima di mirare direttamente agli occhi.
Ecco… Lo Sguardo della Penitenza si è ritorto contro di noi. Penitenza per aver creduto che un film su “Ghost Rider” potesse essere qualcosa di più dell’ennesimo C-Movie fatto al computer. Penitenza per i soldi di un biglietto che avremmo potuto investire più saggiamente.
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