La Marvel Comics ha sempre avuto la tendenza ad attingere dal proprio passato editoriale per riciclarle in forme aggiornate, spesso secondo le attuali sensibilità del pubblico. Che appaiano sotto l'etichetta “Ultimate” o seguano altre forme di riscrittura, l'intento è di solito quello di svecchiare modelli oggi ritenuti superati e gettarli in pasto a un fandom cresciuto con MTV, Inernet e i tanti miti del nuovo millennio.
A questo meccanismo commerciale appartiene anche il recente volume “100% Marvel: Zombie – Simon Garth”, che raccoglie le miniserie “The Zombie” e il suo seguito “The Zombie: Simon Garth”. Il prodotto in questione non è un fumetto disprezzabile, ma ugualmente non riesce a scrollarsi di dosso una patina di inutilità, ed è sopratutto un'occasione sprecata per i lettori più maturi, quelli che come il sottoscritto ricordano l'incarnazione originale del personaggio, del quale – precisiamo – qui non c'è neanche l'ombra.
Nelle due miniserie in questione (scritte da Mike Raicht e disegnate da Kyle Hotz ed Eric Powell) , ci viene descritta per l'ennesima volta il sorgere di una genia di morti antropofaghi, originati come al solito da un virus militare fuori controllo. Tutto si svolge in modo abbastanza aderente alle regole stabilite da George Romero nella sua celebre saga zombesca. L'inevitabile assedio da parte di un'orda di morti famelici, la presentazione di personaggi archetipici (l'impavido, il malvagio, la bella), con prevedibili episodi splatter e la genesi di quello che dovremmo riconoscere come l'eroe chiave del racconto: Simon Garth. Un impiegato di banca coinvolto in una sanguinosa rapina proprio mentre il fatale morbo inizia a infuriare. Dopo un'estenuante resistenza, Simon resta contagiato. Ma qualcosa in lui reagisce diversamente. Non si nutre dei vivi, sembra conservare un barlume di intelligenza e sopratutto l'attitudine alle azioni eroiche.
Quella del volume è una lettura che svaga, giacché non manca di tensione. Ma il senso di già visto, nonché una serie di spunti narrativi ormai sfruttati fino allo sfinimento, inducono a dimenticarlo non appena lo si ripone nello scaffale. La vera domanda è... perché Simon Garth? Perché questo nome?
Viene da pensare che la Marvel sentisse il bisogno di rispondere con una nuova uscita al successo emergente della serie “Walking Dead” di Kirkman e Moore, pagando tributo al cinema di Romero, vero ideatore degli zombi come oggi li conosciamo. Esseri bestiali e cannibali che agiscono in gruppo, sbranando e contagiando gli sfortunati viventi che incontrano sulla loro strada.
Qualche decennio fa non era così. Ma Simon Garth c'era già.
George Romero aveva già sdoganato il suo personale incubo horror (il suo primo film “La Notte dei Morti Viventi” è del 1969), ma gli zombi a fumetti seguivano ancora regole differenti.
Sorvolando sulla sua primissima incarnazione (un racconto breve firmato da Stan Lee e Bill Everett che risale addirittura al 1952), lo Zombie Marvel è ricordato sopratutto per la serie uscita tra il 1973 e il 1975, scritta inizialmente da Roy Thomas e Steve Gerber, e disegnata – tra gli altri – da illustratori del calibro di John Buscema e Pablo Marcos. La serie si intitolava “Tales of the Zombie” (in Italia l'abbiamo vista sul “Corriere della Paura” dell'editoriale Corno). Ed era tutta un'altra storia.
Simon Garth era un potente industriale del Caffè residente a New Orleans. Ricco e dispotico, aveva una bellissima figlia, Donna, che un giorno protegge dalle indesiderate avanches del laido giardiniere Gyps, picchiandolo e licenziandolo. Gyps uccide Simon per vendetta e costringe Layla, una sacerdotessa Voo Doo che nella vita di tutti i giorni lavorava come segretaria di Garth e ne era innamorata, a riportare in vita il suo principale sotto forma di zombie, affinché diventi per sempre il suo schiavo. Vediamo quindi come lo Zombie Garth storico sia collegato alla mitologia haitiana e al culto Voo Doo, e si muove in un contesto magico-etnico molto diverso dai racconti horror ispirati al modello romeriano. Un ruolo importante nella vicenda è svolto dall'amuleto di Damballah, il dio serpente. Un talismano di cui esistono due copie gemelle, una al collo del morto che cammina, l'altra in possesso di chi dovrà controllarlo come un automa. Quasi subito, Gyps perde l'amuleto. Garth, che ha recuperato una scintilla di memoria, lo uccide e inizia a vagare senza meta. Il seguito della saga vede lo zombie sfiorare più volte la strada di sua figlia, che lo sta cercando, e incontrare numerosi personaggi dai destini spesso tragici. L'amuleto gemello passa di mano in mano con conseguenze non sempre piacevoli. Il cammino di Simon s'incrocia spesso con quello di un malvagio gangster di New Orleans che si serve della magia Voo Doo per i suoi scopi criminali. Alla fine, Layla darà la sua vita affinché Simon possa resuscitare per un giorno, risolvere tutti i conti lasciati in sospeso, riconciliarsi con la figlia e l'ex moglie Miranda (ma anche chiudere la partita con il suo nemico, che adesso vede come un riflesso distorto della sua vita precedente) e poter quindi morire definitivamente in pace. In un ciclo conclusivo epico e commovente, scritto da un'ancora sconosciuto Chris Claremont, ogni filo della vicenda è recuperato. Simon si dimostra la metafora di un uomo “morto” molto prima che il suo giardiniere lo uccidesse. Le esperienze maturate dal suo alter ego cadaverico hanno cambiato il cinico e glaciale uomo d'affari, e il suo ultimo giorno (che coincide con il matrimonio della figlia Donna) sarà veramente il più intenso della sua vita.
“Tales of the Zombie” è un piccolo gioiello degli anni settanta, recuperato solo in parte dalla collana “Dark Side” della Gazzetta dello Sport qualche anno fa. Era scritto in modo bizzarro e per certi versi quasi sperimentale. Il protagonista, essendo un morto vivente, era praticamente muto (anche se in un'unica storia bofonchia qualche parola). La narrazione in terza persona era affidata alle didascalie, ma il cantastorie si rivolgeva direttamente al protagonista e lo chiamava per nome. A volte incitandolo, altre rimproverandolo, sempre commentando le sue azioni. Insomma, un espediente letterario molto particolare per infondere a un morto che cammina una personalità struggente. Indimenticabile la sequenza in cui lo zombie si trascina fino alla fabbrica di caffè dove lavorava in vita, scala un cancello elettrificato senza riceverne danno e va a sedersi sulla poltrona imbottita del suo vecchio ufficio. Circondato dal lusso, ma solo nella morte come lo era in vita.
Questo era... è Simon Garth. Questo era un fumetto di qualità.
“Zombie: Simon Garth” è invece una miniserie senza infamia e senza lode, che segue in modo pedissequo i cliché ormai radicati nell'immaginario giovanile dal cinema e dai videogames. Unica traccia, il nome di Simon Garth. E aggiungerei: peccato.
Se adesso pensate che alcuni fumetti degli anni settanta avessero qualche marcia in più rispetto alle spacconate del nuovo millennio... chissà, forse non siete ancora diventati degli zombie.
2 commenti:
Oh santo Cielo! Con questo post, mi hai portato indietro nel tempo, quando affezionato lettore de "il Corriere della Paura", seguivo le vicende di Simon Garth. Come giustamente dici, quella storia era drammatica e struggente, non prima di una certa poesia. Mi ricordo che all'epoca (oggi tutti i collezionisti inorridiranno a leggere queste parole) uno dei miei passatempi era quello di colorare, usando pennarelli, sfruttando le proprietà di quella carta "polposa" di mixare i colori ancora freschi e ottenendo risultati molto particolari e pittorici, le pagine in bianco e nero; un bianco e nero che oggi vedo, non più come allora, come una limitazione ma come una precisa scelta stilistica. (Ammetto, non so se le pagine orginali del fumetto fossero in b/w o a colori, ma oggi ritengo che quella scelta forse dettata da una esigenza di risparmio, riportava il lettore di questa particolare serie al sapore di quegli intramontabili film dell'horror della universal)
Grazie, ancora una volta hai riportato la mia mente a ricordi piacevoli e un po' nostalgici.
Sempre a disposizione... :) ... e sempre grazie per la cortese attenzione.
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