Uno scandalo sessuale. Dei mass media mai così rapaci. Supereroi in disarmo, ormai più inclini a sfruttare i proventi commerciali della propria immagine che a combattere il crimine. E naturalmente un delitto. Strano. Misterioso. Inquietante.
Powers: Venduti, arriva in Italia nei primi giorni di questo 2010, a ben sei anni di distanza dalla pubblicazione in patria della saga originale. Per i lettori italiani rappresenta il secondo volume (sesto contando i precedenti della Magic Press) del nuovo corso della premiata serie di Brian Michael Bendis e Michael Avon Oeming dopo anni di limbo editoriale dovuto a passaggi da un etichetta all’altra e a una ridefinizione dei diritti d’uso. Sei anni che, curiosamente, si fanno sentire durante tutta la lettura di questo Venduti, in modo sorprendente.
I detective Christian Walker e Deena Pilgrim non hanno perso smalto. Quello di Powers rimane (finora) uno degli universi supereroistici decostruzionisti più intriganti, e la qualità di Venduti mantiene le promesse fatte dal precedente volume, Anarchia, sviluppando uno scenario sempre più complesso e sconcertante.
Gli ingredienti sono noti. Una comunità di superumani spesso corrotti e dai segreti torbidi. Vittime e carnefici di sé stessi come dell’uomo comune che a volte li teme e li odia. Una polizia fallace, non troppo dissimile dai vigilanti in costume per le sue dinamiche interpersonali, ma tuttavia resa più nobile proprio dalla sua irriducibile normalità, elemento che li rende comunque uomini e donne con i piedi ben piantati per terra. Una squadra che adombra la Justice League, traboccante conflitti e inveterati rancori, che sfoggia un nome emblematico nella sua contraddittorietà: Unity. Powers è la serie che più di altre è riuscita a riportare i supereroi al livello del marciapiede senza mai scadere nella volgarità fine a se stessa, e conservando, pur con alti e bassi, un livello qualitativo più che discreto.
Ma il reale punto di interesse, a proposito di Powers: Venduti, potrebbe essere un altro. Più filologico, volto a comprendere i meccanismi commerciali che regolano cifre stilistiche e trend del media fumettistico. Una scoperta probabilmente già nota a quanti seguono la serie di Bendis e Oeming in lingua originale, ma abbastanza sorprendente per i nostrani appassionati di supereroi che hanno atteso così a lungo il ritorno di Powers sugli scaffali italiani, consolandosi nel frattempo con molte altre letture di stampo affine. Negli ultimi anni abbiamo visto esordire molte nuove serie di successo, spesso firmate da autori blasonati. Il mito del supereroe è stato ormai passato al tritacarne, ridotto a migliaia di minuscoli pezzetti e cucinato con tutte le spezie esistenti, dolci e piccanti. Il lettore ha, per così dire, finito col perdere la visione di insieme. O meglio, questa gli è stata sottratta, frammentata in un’interminabile serie di prodotti derivativi pensati per incontrare il gradimento di tutte le età e di tutti i gusti possibili.
Gli ingredienti sono noti. Una comunità di superumani spesso corrotti e dai segreti torbidi. Vittime e carnefici di sé stessi come dell’uomo comune che a volte li teme e li odia. Una polizia fallace, non troppo dissimile dai vigilanti in costume per le sue dinamiche interpersonali, ma tuttavia resa più nobile proprio dalla sua irriducibile normalità, elemento che li rende comunque uomini e donne con i piedi ben piantati per terra. Una squadra che adombra la Justice League, traboccante conflitti e inveterati rancori, che sfoggia un nome emblematico nella sua contraddittorietà: Unity. Powers è la serie che più di altre è riuscita a riportare i supereroi al livello del marciapiede senza mai scadere nella volgarità fine a se stessa, e conservando, pur con alti e bassi, un livello qualitativo più che discreto.
Ma il reale punto di interesse, a proposito di Powers: Venduti, potrebbe essere un altro. Più filologico, volto a comprendere i meccanismi commerciali che regolano cifre stilistiche e trend del media fumettistico. Una scoperta probabilmente già nota a quanti seguono la serie di Bendis e Oeming in lingua originale, ma abbastanza sorprendente per i nostrani appassionati di supereroi che hanno atteso così a lungo il ritorno di Powers sugli scaffali italiani, consolandosi nel frattempo con molte altre letture di stampo affine. Negli ultimi anni abbiamo visto esordire molte nuove serie di successo, spesso firmate da autori blasonati. Il mito del supereroe è stato ormai passato al tritacarne, ridotto a migliaia di minuscoli pezzetti e cucinato con tutte le spezie esistenti, dolci e piccanti. Il lettore ha, per così dire, finito col perdere la visione di insieme. O meglio, questa gli è stata sottratta, frammentata in un’interminabile serie di prodotti derivativi pensati per incontrare il gradimento di tutte le età e di tutti i gusti possibili.
Powers: Venduti è un fumetto del 2004 cui oggi non è possibile accostarsi se non con questa chiave di lettura. Sin dalle prime pagine si ha la sensazione del già visto. Del già letto, della trasgressione già consumata. Ma non è tutto. Procedendo nella lettura, giunti al colpo di scena fondamentale, ci si accorge di stare seguendo la prova generale di uno dei fumetti supereroistici di maggior successo dell’anno appena concluso. Uno spunto (qui taciuto per evitare fastidiose anticipazioni) che sin dal principio non appariva come una novità assoluta, ma che oggi possiamo vedere come un’estrapolazione (e lievitazione in serie regolare) del nucleo centrale di questo Powers: Venduti, uscito in America con ben sette anni di anticipo.
In verità, sono almeno due gli spunti di questo ciclo di Bendis cui negli ultimi anni si è attinto per lanciare ulteriori testate. Una più leggera e generica, che Bendis usa come pretesto per innescare una vicenda noir dagli esiti apocalittici. L’altra molto più corposa, che ci dona in un solo volume la sintesi epica di un’altra popolare serie attualmente in uscita, e persino ci anticipa in modo efficace quale potrebbe essere la sua conclusione. In altre parole, per il lettore italiano del 2010, la lettura di Powers: Venduti è quasi surreale. Se certi elementi decostruzionisti trovavano il loro germe in lavori poco noti e di grande caratura come l’underground Bratpack di Rick Veitch, la tavola imbandita stavolta da Bendis e Oeming sembra suggerirci che in questi anni ci eravamo nutriti esclusivamente di merendine confezionate. Un po’ come perdersi nella lettura del ciclo di Dune di Frank Herbert e scoprirvi l’esistenza di simbionti alieni, computer umani, poteri persuasivi della voce e così via. Non si tratta di perorare la causa dell’originalità a tutti i costi, concetto spesso sopravvalutato a discapito della buona forma del racconto, ma della scoperta di un’opera a suo modo ambiziosa che integra in un unico ciclo narrativo più tracce riprese e rielaborate al dettaglio dalla macchina commerciale dell’industria fumettistica statunitense. Esperienza un po’ sconcertante per il lettore dalla memoria lunga, come masticare polpette per anni e poi trovarsi d’un tratto davanti a una mucca che ti osserva in modo torvo, e che sembra dire: «Dai, lo sapevi che ero io. Credevi davvero che fossi solo quelle palline di carne lì?!»
Ne consegue una sensazione molto positiva e un plauso nei confronti del lavoro di Bendis e Oeming, che si confermano pionieri nell’ardua impresa di svecchiare il genere supereroistico, contaminandolo col noir e altre sperimentazioni. C’è posto anche per una provocazione sociopolitica piuttosto aspra, che se realizzata nel nostro paese avrebbe di certo fatto gridare allo scandalo. Una condanna ideologica suggellata da una drammatica (e splatter!) splashpage firmata da un grande Oeming. Una zampata narrativa che, visto soprattutto il clima politico italiano degli ultimi mesi, potrebbe essere oggetto di duri attacchi ed essere accusata di fomentare
Ne consegue una sensazione molto positiva e un plauso nei confronti del lavoro di Bendis e Oeming, che si confermano pionieri nell’ardua impresa di svecchiare il genere supereroistico, contaminandolo col noir e altre sperimentazioni. C’è posto anche per una provocazione sociopolitica piuttosto aspra, che se realizzata nel nostro paese avrebbe di certo fatto gridare allo scandalo. Una condanna ideologica suggellata da una drammatica (e splatter!) splashpage firmata da un grande Oeming. Una zampata narrativa che, visto soprattutto il clima politico italiano degli ultimi mesi, potrebbe essere oggetto di duri attacchi ed essere accusata di fomentare
odio e violenza. Ma nel nostro paese i fumetti vivono in sordina, e raramente raccolgono l’attenzione di chi ci governa. Che sia un male o un bene non è dato sapere. Quel che sappiamo alla fine di Powers: Venduti è che il mondo non sarà più lo stesso. E che stavolta non ci sono trucchi. Gli eventi cataclismatici di questa saga ridefiniscono il mondo dei detective Walker e Pilgrim, e le loro avventure dovranno prendere necessariamente una direzione diversa in futuro.
Nuove promesse, dunque, e l’inizio di una nuova attesa. Sperando di non dover aspettare un altro lustro, centellinando dagli epigoni gli sviluppi drammatici di una serie che finora riesce a emergere e a volare una spanna più in alto rispetto alla piattezza generale.
Nuove promesse, dunque, e l’inizio di una nuova attesa. Sperando di non dover aspettare un altro lustro, centellinando dagli epigoni gli sviluppi drammatici di una serie che finora riesce a emergere e a volare una spanna più in alto rispetto alla piattezza generale.
Questa recensione è stata pubblicata anche su Fantasymagazine.
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