martedì, luglio 20, 2010

Da grande voglio fare il Serial Killer - 1

 [Lo sai che quando avrai finito di leggere ti ucciderò?!]

A volte mi chiedono perché sto sempre zitto.
Spesso rispondo che rifletto molto, e che mi esprimo soprattutto scrivendo.
In parte è vero. In parte no.
La verità è che sono malato. Di un male strano, sconosciuto. Forse un bacillo mutante, o una tara del linguaggio che ancora i neurologi non sono riusciti a individuare. E’ una cosa indecifrabile. Senza nome. Non la capisco neppure io. Così non ne parlo e buonanotte.

Non credo di essere contagioso. Più che altro è qualcosa di genetico.
Il problema della mia infermità è che ogni frase, ogni singola parola pronunciata... Cazzo, fa male! Un male cane. Più o meno come se ti pestassero un'unghia incarnita all’improvviso. Qualche volta è come un pugno nello stomaco. Altre come una fitta cervicale. Non è tanto il proferire le parole. Quello sarebbe fin troppo facile. E’ come pisciare quando soffri di calcoli. Non è l’atto di svuotare la vescica a farti vedere le stelle. Sono quei maledetti sassi spigolosi, che strisciano nel liquido caldo e lacerano i tessuti facendoti sprizzare sangue dal nasino di sotto. Non sono le mie parole. Sono le risposte degli altri indotte dal mio interloquire. Forse ho una pessima voce... non saprei. Una volta, al liceo, una ragazzina antipatica mi disse che parlavo col naso in modo insopportabile. Sarà questo? Non credo, in giro c’è di peggio.
Funziona come un’alterazione del linguaggio. Sembra che il mio interlocutore non capisca mai quello che sto davvero dicendo. Oppure m’illudo di dire qualcosa di diverso da quanto riesco effettivamente ad articolare.
Fatto sta che ogni risposta, quasi sempre, mi causa dolore. O frustrazione. Parlare è come provare a mettere le dita nella presa elettrica. Quindi preferisco tacere. E dosare col contagocce quelle parole che mi escono di bocca pericolose come stille di nitroglicerina. Ogni tanto azzardo. Quasi sempre mi pento.
Per questo parlo da solo. Quando penso che nessuno possa sentirmi. Non lo faccio con intenzione, me ne accorgo a malapena. Un po’ come rilassare gli sfinteri e farsi tutto addosso. Semplicemente perché non ce la fai più a trattenerti.
Funziona così da una vita.

Scrivere?
Perché dovrebbe essere diverso? Si tratta sempre di parole.
Velenose. Odiose. Pericolose.
Mie.
Adorate.
Parole.

Certo. Se hai l’abitudine di parlare da solo – e stai sicuro che prima o poi ti beccano – ti prenderanno per scoppiato. Se scrivi è tutto un altro paio di maniche. In primo luogo perché un uomo di mezza età che gironzola ronzando come un calabrone ubriaco dà veramente nell’occhio, mentre una pagina scritta non costringe nessuno allo sforzo della lettura. In seconda istanza perché tutti scrivono. Ma proprio tutti. Non importa come. Né perché. Né cosa. Lo fanno e basta.
E per di più parlano. Tanto. E forte.

Io no.
Io non posso. Ne va della salute. O di una parvenza di serenità.
Anche per questo ho iniziato a disegnare. Non so farlo molto bene. Mi costa fatica e non ottengo risultati più incoraggianti del parlare o scrivere.
Ma lo faccio.
L’ho fatto.
Lo farò.

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