Alan Moore è tornato, e con lui le sue alchimie. E’ il momento di alzare di nuovo il sipario sugli Strordinari Gentlemen, stavolta alle prese con intrighi che si svilupperanno, a partire dal 1910, lungo tutto il secolo scorso fino alla prima decade del nuovo millennio. La ricetta ermetica, almeno in apparenza, è quella di cui abbiamo già assaggiato i frutti. Citazionismo letterario. Esoterismo. Avventura e l’eterna sfida (costante nelle opere del Bardo di Northampton) tra fumetto e alta narrativa. Un duello mediatico mai audace come in questa terza stagione dedicata ai “supereroi” letterari adottati da Alan Moore. In realtà, sebbene Century (Secolo, in italiano) sia presentato ai lettori italiani come il terzo capitolo della saga, sarebbe di fatto il quarto, giacché segue l’episodio intitolato Black Dossier, tuttora inedito in Italia come nel resto di Europa. Ragioni di copyright irrisolte hanno spinto la DC a decidere di non pubblicare il volume al di fuori dei confini statunitensi, e un’edizione europea è ancora lontana. Black Dossier anticipava le origini di alcuni personaggi di Century e portava in scena precedenti incarnazioni del gruppo. Alan Moore, dal canto suo, ha detto di considerarlo una sorta di interludio che conduce direttamente a Century, da lui promosso a seguito ufficiale della seconda saga. E così dovremo considerarlo.
Nel primo volumetto di questo nuovo ciclo, intitolato La lega degli Straordinari Gentlemen – Secolo, Moore prende però una strada inaspettata. Più labirintica e intellettuale rispetto ai due già densi capitoli precedenti, e dove condurrà stavolta il lettore, attraverso i suoi sentieri arcani, è impossibile da prevedere.
Nel primo, ormai storico, ciclo dedicato agli straordinari gentiluomini, Moore giocava con un’intuizione geniale e semplice al tempo stesso. Raggruppare personaggi dei più popolari romanzi fantastici e avventurosi ottocenteschi (in qualche caso riportandoli in vita) e farli interagire con dinamiche di squadra che ricordavano molto da vicino i tanti gruppi degli universi fumettistici più commerciali. In effetti, parecchi personaggi potevano essere considerati come una sorta di supereroi ante litteram. La diade Jekyll/Hyde, cui deve non poco il personaggio di Hulk. L’Uomo Invisibile di Wells, dal quale ha inizio una discendenza interminabile. Il Capitano Nemo con il suo sommergibile Nautilus, prototipo dell’eroe geniale che si distingue grazie alle sue avveniristiche intuizioni tecnologiche. Allan Quatermain, esploratore abituato a fare i conti con le scoperte più improbabili. E il leader femminile, Mina Murray, la protagonista di Dracula. Donzella impavida che, una volta sopravvissuta al morso del principe dei vampiri, non teme niente e nessuno. Il tutto calato in un’atmosfera steampunk, dove il gioco di citazioni suscitava la delizia del lettore più avvertito e seduceva quello più ingenuo, dimostrandosi un desco interculturale ricco e fruibile a più livelli.
Dopo due lunghe avventure e molti anni (sulle pagine del fumetto come nella realtà), lo stile con cui Alan Moore riprende in mano gli Strordinari Gentlemen appare diverso. Più criptico, meno disponibile all’intrattenimento di massa. Una delle ragioni, forse, è incidentale. Dopo due volumi, alcuni personaggi tra i più celebri ci hanno salutato per sempre. Altri lo faranno presto, e l’olimpo letterario cui Moore attinge ora, per quanto variegato, è meno popolare e riconoscibile per il lettore di fumetti del nuovo millennio. Accanto a Mina (algida e inquietante come il vampiro che non è diventata) troviamo personaggi più oscuri per il vasto pubblico (sicuramente per quello italiano) come Thomas Carnacki, il detective dell’occulto creato da William Hope Hodgson, o presi in prestito da una letteratura per palati più fini, come l’androgino Orlando di Virginia Woolf. Facciamo la conoscenza di A. J. Raffles, archetipo del ladro gentiluomo da cui sarebbe nato più tardi in Francia il celebrato Arsène Lupin. Ismaele, il baleniere narratore di Moby Dick, qui trasfigurato in un anziano e fedele famiglio. Moore si diverte persino a contaminare il florilegio letterario con riferimenti alla golden age fumettistica ricorrendo a Capitan Universo, sorta di versione inglese del Capitan Marvel (Shazam) della Fawcett Comics. E alla dottrina della psicogeografia, con il personaggio di Andrew Norton, viaggiatore temporale creato dallo scrittore (e amico di Moore) Iain Sinclair.
A questi si aggiungono figure apocrife come l’enigmatica figlia del Capitano Nemo, creatura acquatica destinata a percorrere – sia pure con motivazioni differenti – lo stesso cammino insanguinato del padre. Ma qui il gioco letterario si fa duro. Nel senso che offre spunti da decifrare con attenzione e si concede ritmi letterari che potrebbero risultare impervi a qualche fan dei due cicli precedenti. I riferimenti storici e magici non si contano. La figura di Jack lo Squartatore (già sviscerata da Moore nel basilare From Hell) torna prepotentemente in scena. Ma in una versione diversa, più alchemica, ambigua. Così come il personaggio della figlia di Nemo, che lungo questo primo capitolo subirà un processo di ibridazione con un’altra nota figura del novecento. E questo attraverso un curioso meccanismo da “musical di carta”, visto che in questa avventura dei Gentlemen, i personaggi cantano spesso, declamando versi che adombrano più o meno esplicitamente fonti illustri. Gran parte del primo capitolo è scandito da una truce rielaborazione di Jenny dei Pirati, celebre song di Bertolt Brecht e Kurt Weill dall’Opera da Tre Soldi.
La vicenda principale che riguarda l’avvento di un misterioso “figlio della Luna” e una potenziale apocalisse progettata da una losca setta, sembra fare da pretesto per un’ambiziosa alchimia di codici narrativi. Se nelle prime due avventure dei Gentlemen, Alan Moore aveva dimostrato di saper fondere letteratura e fumetto, con la saga Secolo (Century) va addirittura oltre, e mette mano agli alambicchi per creare una nuova e
strabiliante pietra filosofale. Un collasso dell’immaginario in cui più figure si confondono tra loro dando vita a qualcosa di diverso eppure sempre uguale. Un labirinto degli specchi in cui l’origine di un archetipo rimanda a un altro e così via. Significativo, in questo, è Orlando. Uomo e donna nel medesimo tempo (come il Rebis degli alchimisti), ma anche sintesi di più figure mitologiche e letterarie che hanno attraversato la storia. La sottotrama che coinvolge personaggi ispirati all’occultista Aleister Crowley risulta un ricamo operato dal Bardo per chiamare in causa il caos da cui tutto nasce e in cui tutto torna in un ineffabile, epico, ciclo di vita e morte. Tutte le storie, tutti i personaggi e i loro derivati, sono da sempre dentro di noi. Si può cambiare loro i nomi, ci spiega Moore. Aggiornare il loro aspetto o il contesto che li ha partoriti. Ma essi vivono nella storia personale di ogni uomo e appartengono a ciascuno di noi. E in ogni uomo e donna si trasfigurano, rivelandosi a volte in modo luminoso come un nume iconico e riconoscibile. Ma quel che resta è la consapevolezza dell’immaginario collettivo. Materia viva e ribollente che ha bisogno solo della fantasia per diventare Forma e riprendere a camminare sulle proprie gambe. A correre, a nuotare. Forse a volare.
La Lega degli Straordinari Gentlemen – Secolo, è il livello successivo negli studi esoterici del mago britannico che ci ha regalato opere come Whatchmen e V for Vendetta. Stavolta sembra voler giocare interamente alle sue regole. Senza sconti, senza facili concessioni. Ci stordisce e confonde, ma nello stesso tempo ci affascina. Come tutte le volte. E sarà comunque interessante attendere di vedere che aspetto avrà l’homunculus completo una volta che Alan Moore avrà schiuso l’alambicco in cui sta ancora crescendo.
Questa recensione è stata pubblicata anche su Fumettidicarta.
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