La caduta di una fiammeggiante navetta spaziale interrompe un ammutinamento e impedisce l’abbandono in mare dei coniugi Greystoke, inermi e in attesa di un figlio. Il piccolo alieno all’interno della navicella è allevato dalle scimmie, e cresce per diventare un possente signore della giungla, scoprendo in sé, giorno dopo giorno, poteri straordinari, mentre il giovane John Clayton Greystoke Jr., nato e cresciuto nella terra dei suoi antenati, diventa uno spirito inquieto, sognatore, ossessionato da un’incomprensibile sensazione di incompletezza...
Superman – Tarzan: Figli della Giungla è una miniserie appartenente alla linea DC definitva Elseworlds (Altrimondi), dove personaggi iconici sono mostrati sotto luci che divergono dalla continuità ufficiale. Snodi narrativi spesso causati da eventi storici alterati che producono ucronie più o meno suggestive, racconti immaginari (nel senso di “apocrifi”) tra i quali non mancano esempi molto popolari. Nel caso di questo Figli della Giungla, miniserie in tre parti del 2002 che la Bao Publishing propone in un unico volume, ci troviamo di fronte a un divertissement destinato a un pubblico giovane e di bocca buona, leggero e senza alcuna vera pretesa di profondità. Le matite di Carlos Meglia (disegnatore argentino oggi scomparso, che ricordiamo soprattutto come cocreatore, insieme a Carlos Trillo, di Cybersix) conferiscono alla vicenda della Scimmia d’Acciaio (o Pelle-di-Fuoco, come le stesse scimmie decidono di chiamarlo) un tocco cartoonistico che ne accentua la natura disimpegnata, basata sulla blanda provocazione di un melange letterario-fumettistico più che su una trama pensata per essere solida. Lo sceneggiatore Chuck Dixon se la cava con il mestiere di sempre, ma senza sforzarsi più di tanto, e lasciando all’espressività delle illustrazioni di Meglia il compito di condurre il gioco fino al suo prevedibile finale.
L’idea di interpolare i contesti di due personaggi cardine dell’immaginario popolare, quali sono Superman e Tarzan, fornisce lo spunto per qualche breve riflessione sull’evoluzione dell’eroe nella cultura pulp. Spesso dimentichiamo che proprio Tarzan, il signore della giungla uscito dalla penna di Edgar Rice Burroughs, è uno degli antesignani dei moderni supereroi, e ne porta incisi i caratteri fondamentali sulla sua pelle di carta, letteraria prima e fumettistica (e cinematografica) in seguito.


Prendere i due eroi e far loro scambiare i posti, è pertanto un’intuizione che riconduce entrambi i personaggi alle loro radici comuni nell’immaginario collettivo, e si prestava a un gioco di rielaborazione che forse avrebbe meritato più concentrazione. L’effetto sovversivo, invece, rimane tutto in superficie, puramente formale, e il racconto si risolve in uno dei tanti Elseworlds cui siamo da tempo abituati, e da cui i lettori più maturi possono tenersi lontani senza temere di perdere alcunché. Il rimpasto di personaggi di contorno, come le fidanzate storiche Lois Lane e Jane Porter, lascia il tempo che trova, e la variazione sul tema (anzi, la contaminazione dei canovacci, alla maniera del teatro latino) scorre via per essere presto dimenticata.
Il mercato odierno, come quello di un decennio fa, in cui questa miniserie è stata originariamente pubblicata, presenta certamente prodotti molto più deludenti, ed è probabile che un pubblico di ragazzi possa apprezzare il gioco fumettistico messo in atto da Dixon e Meglia. Ma sono le matite del secondo, indimenticabile creatore di caratteri in apparenza ironici e spigolosi, eppure a tutto tondo, a tenere banco in questa realtà alternativa, tra navicelle aliene, liane, scimmie e kryptonite.
Questa recensione è stata pubblicata anche su Fumettidicarta
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